Italo Antico - sculture

 

 

"All'infinito"


“Una linea alla conquista dello spazio”, si potrebbe intitolare la mostra di Italo Antico ordinata alla Galleria del Naviglio. E, infatti, i sottili segmenti continui delle sue costruzioni plastiche, che, qualche tempo fa si ergevano quasi rettilinei verso l’alto o s’intrecciavano e si snodavano in alterne volute, (ma sempre ancora legati ad un principio di “statuaria”, per quanto trasformata e ridotta), oggi si sono sviluppati secondo un ordine nuovo e hanno raggiunto quello che forse è il loro compito fondamentale: la modulazione, la segmentazione, la divaricazione; insomma, la conquista d’un determinato spazio.
Che sarà un spazio esterno, (come nel caso della lunghissima stele che s’innalza vibrando verso l’alto all’ingresso della galleria) o sarà, come nel grande ambiente oggi realizzato dallo scultore, uno spazio interno, dove l’invaso della sala o dell’edificio, viene percorso nelle sue diverse dimensioni, orizzontalmente, verticalmente e proiettandosi verso l’interno, in quella che potremmo definire una dimensione introspettiva, di forzatura dell’intima compagine ambientale.
Se, negli anni passati, Antico aveva posto una particolare cura nella messa a punto e nella realizzazione d’un suo personale medium espressivo (il tubo in acciaio inossidabile), così come prima d’allora l’aveva posta in quella d’altre costruzioni più volumetriche ed espanse; le realizzazioni che ne erano risultate rimanevano tuttavia a livello di “oggetti plastici”, di eleganti e magari preziosi (si pensi a certi gioielli, a taluni disegni per tappeti sardi) elementi “decorativi”.
Oggi, questa precedente stagione che potremmo, non per sminuirla, definire di’ ‘arte applicata”, ha cessato di esistere, proprio perché era cessata la sua funzione di ammaestratrice e consolidatrice formale.
E, infatti, già dallo scorso anno, Antico aveva iniziato alcune interessanti ricerche (esposte a Torino e a Milano) sulla possibilità di impiegare le sue sculture filiformi quasi in funzione arborea: come giganteschi rampicanti, appoggiati alle pareti d’un ambiente.

Si trattava, però ancora di tentativi timidi; mancava la perentorietà del gesto, che, oggi, gli permette di appoggiarsi alla parete o al pavimento, ma anche di staccarsi all’improvviso dagli stessi mediante brusche cesure o attraverso divaricazioni imprevedute, che creano delle sorte di scalini, di intoppi, di angolature, sia nel percorso orizzontale del corpo plastico, sia in quello verticale o obliquo.
Una scultura come questa ci dimostra molto chiaramente, da un lato, la messa in crisi, la nullificazione delle masse plastiche, la negazione della monumentalità retorica; dall’altro, la utilizzazione d’una visione del mondo in cui la scultura assume sempre di più la funzione di personalizzatrice d’un ambiente, di indice (proprio in senso peirciano) immesso entro un contesto: il sottile tubo d’acciaio non è di per sè che un vuoto dimensionale, un’assenza plastica, una negatività scultorea. Ma una volta che sia stato introdotto nell’ambiente, addossato ad una parete, estro-lesso entro l’invaso in cui s’inserisce, acquista appunto la qualità indexicale di cui Peirce ragiona a proposito di taluni segni. Diventa significativa d’una volontà espressiva dell’artista, non di per sè, ma nella sua osmosi e nella sua costante interazione con l’ambiente entro cui è stato inserito e di cui ha scardinato le strutture, e al tempo stesso, rivitalizzato la sostanza.
In questa maniera, crediamo, il lavoro di Antico ha raggiunto oggi una sua precisa statura, che Io differenzia da quella di molti artisti per i quali la scultura è ancora “monumento” o “soprammobile” trofeo o gingillo; per avvicinarsi invece ad una concezione diversa e più essenziale:quella della costruzione tridimensionale divenuta processo, direttrice spaziale, indicazione perentoria (proprio come l’indice che segna la strada, la freccia che indica la direzione) d’una via da seguire.
E un segno, dunque, che ha la particolare natura dell’indexical sign,: quella di essere tale solo una volta applicato che sia al suo sempre nuovo e diverso contesto, di cui diverrà irrimediabilmente la direttrice e la guida.

Gillo Dorfles
1976

 

 

 

 

 

 

 

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