Italo Antico - sculture

 

 

"di mare e d'acciaio"


l'opera di italo Antico
1955/2005

EXMA'
Centro comunale d'arte e cultura
Cagliari 16. 12. 2005 - 15. 01. 2006

 

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catalogo: "di mare e d'acciaio"
l'opera di Italo Antico 1955/2005

 

Simona Campus

 

[...] A presentare la prima mostra personale di Antico, nel 1972, alla Galleria Cadario di Milano, è Gillo Dorfles, che da questo esordio e fino a oggi segue costantemente e decodifica l’avvicendarsi delle problematiche e delle soluzioni, che sculture di tal fatta implicano. Nel 1973, in occasione di un’altra personale alla galleria genovese "Arte Verso", il già citato Corrado Maltese racconta di «aste argentee contratte e scattanti, a fasci, nello spazio, fluide e rigide al tempo stesso». Intanto la scultura Opposizioni intermedie (1973-74) e la mostra, sempre nel 1973, alla Galleria Duchamp di Cagliari, presentata da Placido Cherchi, vanno rivelando come Antico tenda ad enfatizzare in maniera sempre più esplicita la vocazione delle proprie creazioni a non limitarsi a vivere nello spazio ma a costruirlo. Uno spazio, che, chiarisce Enrico Crispolti - introducendo la mostra della Galleria Blu a Milano nel 1975 e riferendosi a opere quali Espansioni adiacenti (1975) e Flessione (1975) - non è più quello ideale della scultura tradizionale; non è più quello esclusivamente mentale dell’arte concettuale; non è più nemmeno lo spazio non eludibile della scultura informale. È «la dimensione spaziale empirica in tutta la sua disponibilità». I tubi d’acciaio diventano segni ambientali, che lo spazio riescono a misurare con esattezza ed insieme ad impregnare di tutto il fascino del relativo e della mutevolezza. Dunque di luce. Oltre alle stanze delle gallerie – citiamo almeno la galleria "Mantra" di Torino, nel 1974, la galleria "Il Naviglio" a Milano e la "Galleria G72" a Bergamo nel 1976 – i segni ambientali si accingono ad abitare luoghi saturi di storia. Del 1978 è l’intervento nella chiesa sconsacrata di San Michele a Fidenza, relativamente al quale Antico ha scritto preziose pagine esegetiche: «Preferire questa chiesa sconsacrata e in uno stato di totale abbandono, al giardino o al luogo di transito, era per me una esperienza singolare. Come puntualizzai la soluzione d’intervento, mi entusiasmò sempre l’idea di inserirmi in quello spazio, in quella misura monumentale così razionale e calibrata con un mio segno d’acciaio scarno, dimensionalmente vuoto che non la turbasse o la provocasse… Progettai una linea di trenta metri inizialmente inerte che adagiata sul pavimento della navata centrale sfiorasse lo spazio sovrastante, per poi proiettarsi in esso con vibrazioni e scarti, riappoggiarsi brevemente e procedere in un ambiente attiguo semicircolare dove si eleva leggermente addossandosi agli angoli e alla parete ricurva, per immettersi obliquamente nello spazio attraversandolo sino all’esterno». Al 1981, preceduto da due Ipotesi (1980), risale l’intervento nel museo di Castelvecchio a Verona. Dentro alla struttura architettonica di origine trecentesca, sorprendentemente restaurata da Scarpa, il segno d’acciaio amplia le coordinate delle antiche mura scaligere, proiettandole in un dialogo serrato di storia e di cultura. Ne scaturisce il miracolo di una perfetta coesistenza di passato e presente, arricchita dalla certezza che lo spazio possa continuamente reinventare le proprie capacità narrative. La stessa certezza sovrintende anche al Segno (1981), che dalla galleria "Il Naviglio" si staglia sul cielo di Milano, maestoso obelisco moderno. Sia nella misura ambientale – tra gli interventi degli anni successivi riferiamo almeno quello della galleria "Mercato del Sale" a Milano nel 1983, e quello di Gubbio nel 1986 – che nella dimensione oggettuale della scultura l’opera di Antico è oramai figura di un’ascesi, distillata da ogni movimento accidentale e superfluo; apparizione di una realtà ineffabile, che precede quella fenomenica; pieno dominio di ogni contingenza, in sembianze di rette, curve e spirali che appartengono al regno della luce purissima. Per l’infinito (1980) è un solitario, commovente brivido di sole, appena mosso da impercettibili vibrazioni. Antagonismo relativo (1985), Verticalità con nodo (1985), Principio di continuità (1985), afflato lirico di concetti spaziali, smentiscono irrevocabilmente l’illusione che fu di Lessing e del suo Laocoonte intorno alla differenza tra l’arte dello spazio e l’arte del tempo. Athikte (1996), elogio del vuoto. La forma dell’impossibile (1997), ossimoro, riconcilia la scissione platonica di mondo e iperuranio. Concentrazione suprema. Memorie di un quadrato bianco dipinto su un fondo bianco.
Lungo il corso degli ultimi decenni Antico concede alla propria arte un’unica, bianca, possibile alternativa materica: la carta. Le sculture di carta esposte a Fabriano nel 1985 – Espansione (1977), Successioni (1979), Estasi (1984-85), Porzione barocca (1985) – sono «volumi accampati nello spazio», riferisce Rossana Bossaglia nel catalogo della mostra, «per occuparlo tridimensionalmente, incroci di piani, limpidi ma di sostanziosa corporeità». Le più recenti Tracce (2003-04) custodiscono, invece, fregi senza peso su fogli inviolati, che vivono di quiete e di nitidezza.
Ma l’acciaio è sempre è lì. E anche il mare. In verità, hanno cominciato ad abbarbicarsi l’uno all’altro, come l’anima al corpo.
I Flussi, i Riflussi, le Onde.
Le pietre. L’acqua. La vita

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